Aprii la porta e entrai. Era una notte di mezza estate. L’odore di muffa e polvere si mischiava con l’aria umida della stanza. Ad un tratto mi tornarono in mente dei ricordi. Le scarpe del preside che luccicavano, l’espressione sul volto di Namjoon, sull’uscio della porta, il giorno in cui avevo incolpato Hoseok e me ne ero andato. Iniziò a farmi male la testa e fui scosso da brividi. Soffrivo per una strana emozione, un misto di rabbia e perfino paura. Il segnale che mandava il mio corpo era chiaro: dovevo andarmene.
Sembrava che Taehyung avesse capito quello che stavo per fare, così mi prese per il braccio. “Hyung, provaci ancora. Cerca di ricordare cos’è successo qui”. Ho scrollato via la mano di Tae e mi sono voltato. Erano ore che giravo nell’afa. Ero stanco della mia stessa stanchezza. Gli altri mi guardavano confusi, come se non sapessero cosa dirmi.
Ricordi. Il ricordo di cui parlava Taehyung non aveva alcun senso per me. Ciò che avevo fatto, ciò che mi era successo, ciò che noi avevamo fatto. Può darsi. Può darsi fosse accaduto tutto questo. Ma i ricordi non sono una convinzione o un qualcosa da capire. Avere esperienza non vuol dire guardare gli altri, basarsi sul sentito dire. È una cosa che devi custodire nel cuore come fosse la tua guida. Ciò nonostante, per quanto mi riguardava, tutti i ricordi legati a quel posto erano caratterizzati da fatti negativi. Fatti che mi facevano soffrire e che mi facevano venir voglia di scappare.
Ci fu un litigio tra me e Taehyung, ché voleva impedirmi di andarmene. Ma eravamo entrambi esausti. Stanchi di colpirci, di non ascoltarci e di bloccarci a vicenda… Azioni troppo lente o pesanti, come se accadessero in un liquido viscoso. Improvvisamente, io e Taehyung inciampammo l’uno sull’altro. Le mie spalle picchiarono contro il muro, e di quello che successe dopo, ricordo solo che persi l’equilibrio e caddi. All’inizio, non sapevo cosa stesse accadendo: per colpa della polvere non riuscivo ad aprire gli occhi e nemmeno a respirare. Continuavo a tossire ininterrottamente. “Stai bene?” Avevo capito di essere a terra, quando qualcuno si avvicinò per parlarmi. Mi alzai, e la mia attenzione venne rapita da una crepa nel muro contro cui avevo sbattuto. Dietro quel muro si apriva uno spazio enorme. Per un istante nessuno si mosse. Che cosa… Qualcuno disse: “Abbiamo trascorso così tanto tempo qui…”, nessuno avrebbe mai pensato ci fosse un posto del genere al là del muro. Ma di cosa si trattava?
Non appena la polvere si disperse, vidi un unico armadietto in mezzo a quello spazio vuoto. Namjoon andò ad aprirlo. Mi avvicinai. All’interno era custodito un diario. Namjoon lo prese, e lo sfogliò. Trattenni il fiato. Sulla prima pagina vi era riportato un nome che non ci saremmo mai aspettati di vedere: il nome di mio padre. Mentre Namjoon stava per voltare la pagina, gli presi il diario di mano. Mi guardò sorpreso, ma non si oppose. Girai la pagina. Era vecchia, e mentre la voltavo, si sfaldava tra le mie dita. All’interno del diario c’era il racconto, scritto da mio padre, di quello che era successo tra lui e i suoi amici delle superiori. Non era un diario giornaliero. Veniva scritto di mese in mese. Una pagina aveva addirittura macchie di sangue, tali da non riuscire nemmeno a leggerla. Ma ero comunque in grado di capire. Mio padre aveva vissuto ciò che avevo vissuto anch’io. Aveva fatto errori e sbagliato proprio come avevo fatto io, era scappato ed aveva continuato a scappare per rimediarvici, proprio come avevo fatto io. Le cose scritte sul diario di mio padre erano un resoconto dei suoi fallimenti. Alla fine, si era arreso e aveva fallito. Dimenticò, diede la colpa agli altri, scappò. Abbandonò i suoi amici. C’era una macchia d’inchiostro nera, sull’ultima pagina scritta del diario. La stessa in quella seguente (che non sembrava essere stata scritta) e in quella dopo ancora, fino all’ultimissima pagina. Quella macchia rappresentava il suo fallimento.
Traduzione italiana a cura di Bangtan Sonyeondan – BTS Italia. Prendere solo con crediti.
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